I disturbi alimentari (DCA) sono in netto aumento nella società moderna, soprattutto tra i giovani.

Si stima che dopo il lockdown i casi di DCA siano quasi raddoppiati. L’età media di mortalità delle persone che ne sono affette, è intorno ai 35 anni, il che fa capire quanto sia bassa la soglia di esordio della malattia.

Cosa sono i DCA?

SI definiscono disturbi del comportamento alimentare un gruppo di malattie classificabili nei disturbi psichiatrici. Essi sono caratterizzati da comportamenti alimentari patologici e comportamenti alterati di controllo del peso e della forma del proprio corpo.

I più noti sono:

 l’anoressia nervosa, caratterizzata da un introito molto ridotto di kcal, con diete fai da te, e aumentato apporto di attività fisica che porta ad una rapida perdita di peso da parte di chi ne è affetto.

-la bulimia nervosa, caratterizzata da frequenti episodi di abbuffate seguite molto spesso da episodi di vomito auto-indotto

il binge eating, caratterizzato come per la bulimia da episodi di abbuffate, non seguiti in questo caso da attività compensatorie come il vomito o l’uso di lassativi.

Oltre a quelli precedentemente citati, oggi vengono riconosciuti e trattati anche altri tipi di disturbi alimentari tra i quali ricordiamo:

il picacismo, che consiste nel mangiare alimenti non commestibili.

– il disturbo di ruminazione, che consiste nel rigurgitare ciò che si mangia.

il disturbo evitante/ restrittivo, che consiste nell’evitamento di alcuni tipi di alimenti o gruppi alimentari o nella loro limitata assunzione con conseguente perdita di peso, carenze nutrizionali. Questo disturbo però si differenzia da anoressia e bulimia perché non comprende preoccupazione per la propria forma fisica.

Ma qual è la frequenza di diffusione?

Si stima che l’età media di esordio della patologia sia dai 12 ai 25 anni, con un 90% di diffusione tra le ragazze e un crescente 10% tra i ragazzi. L’anoressia nervosa rappresenta il 42,3% dei casi di disturbi alimentari in Italia, seguita dalla bulimia nervosa con il 18,2% di casi, e dal disturbo di binge eating con il 14,6%.

Come intervenire se si capisce di avere un dca?

Se si sospetta di essere affetti da un disturbo alimentare o di avere in famiglia una persona che ne è affetta, la prima cosa utile da fare può essere quella di sottoporsi ad un controllo medico, infatti un pediatra o un medico di famiglia sono già in grado di capire se si è affetti da tale condizione. Qualora la diagnosi sia positiva è importante essere affiancati da un team multidisciplinare che si occupi di seguire la persona a 360°, quindi non solo dal punto di vista strettamente nutrizionale ma anche dal punto di vista psicologico.

In base allo stato di avanzamento della malattia può essere necessaria o meno l’ospedalizzazione.

In genere, quando si tratta di patologia in fasi inziali essere seguiti da un nutrizionista che si occupa di DCA e da uno psicoterapeuta che si occupa della stessa cosa, può bastare per mandare in remissione la malattia. Nei casi invece in cui la persona non risponda bene alle terapie e/o peggiori, oppure, sia già in uno stadio avanzato del disturbo, diventa importante l’ospedalizzazione, dove il team di medici, psicologi e nutrizionisti monitorano la persona ogni giorno, costantemente, fino alla remissione della malattia. Attualmente in Italia sono presenti più di 100 strutture che si occupano di ciò, sparse su tutto il territorio. Più della metà sono presenti al Nord, circa 20 sono al Centro e circa 30 sono al Sud e nelle isole.

In cosa consiste il supporto nutrizionale?

Nei casi di DCA il supporto nutrizionale non sarà quello tradizionale, per cui non verrà assegnata al paziente una dieta da seguire, ma verranno dati alla persona gli strumenti e le informazioni utili per imparare l’intuitive eating e migliorare il proprio rapporto con il cibo.

Conclusioni

L’approccio multidisciplinare, che prevede la collaborazione di psicologo e nutrizionista, dunque, risulta una delle componenti fondamentali per uscire da un disturbo alimentare, con tempi di remissione che vanno dai 57 ai 69 mesi, ma che escludono quasi completamente i casi di morte (cosa che invece non avviene sempre quando i trattamenti non sono tempestivi ed efficaci).

Fonti (-Istituto superiore di sanità -Istat)

Dott.ssa Giulia Iervolino Biologa – Nutrizionista

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